E’ fatto noto come si stia sviluppando un certo contenzioso tributario relativamente al diniego posto dall’Agenzia delle Entrate alle richieste di rimborso delle ritenute operate da intermediari finanziari esteri sugli interessi prodotti dai conti correnti accesi presso gli stessi, nelle ipotesi in cui il contribuente italiano abbia optato per la c.d. “voluntary disclosure”, ai sensi del d.Lgs. n. 186/2014.

Si tratta della c.d. “euroritenuta” prevista dall’articolo 11 della Direttiva del Consiglio UE n. 48/2003, afferente la “tassazione del risparmio transfrontaliero”. Tale ritenuta alla fonte è applicata dalle banche sul la corresponsione degli interessi pagati o accreditati da uno Stato Ue (Lussemburgo, Belgio e Austria) e da Stati che applicano misure analoghe (tra cui Svizzera, USA, Monaco, Liechtenstein, San Marino, Andorra) a “beneficiari effettivi”, persone fisiche residenti in altro Stato membro; pertanto, nei casi di non operatività dello scambio automatico di informazioni, erano tenute ad applicare, al fine di evitare la comunicazione del titolare del conto.

Allo scopo di eliminare eventuali doppie imposizioni, la Direttiva citata prevede che quando il reddito di capitale, soggetto alla c.d. “euroritenuta”, viene assoggettato a tassazione anche nello Stato di residenza del percipiente, è riconosciuto al beneficiario effettivo del reddito un credito d’imposta. Ma se l’importo dell’”euroritenuta” supera l’importo dell’imposta dovuta secondo la legislazione nazionale, lo Stato di residenza rimborsa al beneficiario effettivo l’importo di ritenuta eccedente l’imposta dovuta.

Tale normativa europea è stata quindi recepita nel nostro ordinamento giuridico dall’art. 10, d.Lgs. n. 84/2005, il quale dispone quanto segue: “1. Allo scopo di eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 11 della direttiva 2003/48/CE, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, è riconosciuto al beneficiario effettivo medesimo un credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

  1. Se l’importo della ritenuta operata di cui al comma 1 è superiore all’ammontare del credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato articolo 165il beneficiario effettivo può chiedere il rimborso, rispettivamente, dell’eccedenza o dell’intera ritenuta;in alternativa, può utilizzare la modalità di compensazione prevista dall’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

La cennata normativa appare cristallina e fondata su criteri decisamente condivisibile, e pertanto non servono ulteriori commenti per contestare la prassi dell’Agenzia delle Entrate di negare il diritto al rimborso di tale ritenuta nel caso di tassazione anche in Italia dei medesimi interessi (come ad esempio accade nel caso di adesione alla c.d. “voluntary disclosure”).

In ogni caso, si evidenzia come il divieto di doppia imposizione fiscale abbia una valenza generale sostanziale nel nostro ordinamento tributario. In particolare, la dottrina è concorde nel sostenere che tale divieto, quale espressione dell’art. 53 Cost., configuri un limite alla doppia o plurima imposizione (che, peraltro, in tale prospettiva, avrebbe natura meramente economica) laddove la coesistenza di diversi tributi in ordine ad un medesimo fatto realizzi, nella sostanza, una espropriazione della capacità contributiva espressa dal fatto medesimo.

Si precisa, poi, come non sia condivisibile la tesi erariale posta a base del diniego al rimborso, e cioé il presunto limite  di cui all’art. 8, art. 165 TUIR per cui il riconoscimento del credito d’imposta o del diritto al rimborso sarebbe subordinato alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia: a tal proposito,  come peraltro precisato anche dalla stessa Agenzia delle Entrate con circolare n. 9/E del 2015, il meccanismo previsto dall’art. 165 TUIR riguarda solo i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, ovvero la base imponibile IRPEF soggetta ad imposte progressive, e non riguarda i redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’art. 18 dello stesso TUIR, quali ad esempio i redditi di capitale esteri. D’altra parte, la stessa Direttiva 2003/48/CE, all’art. 10 cit., prevede il rimborso dell’intera “euroritenuta” subita nel caso in cui non sia applicabile il predetto art. 165 TUIR.

Pertanto,  nel caso di omessa dichiarazione dei cennati interessi in Italia (e anche nel caso di mera mancata indicazione degli stessi nel quadro RW della dichiarazione), il diritto al rimborso sussiste, posto che non vi è alcun obbligo dichiarativo.

Considerato che ad oggi vi sono varie sentenze di Commissione Tributaria in senso favorevole e contrario alle richieste dei contribuenti, restiamo in attesa di conoscere le prime pronunce di Cassazione sul tema. 

 

Avv. Giuseppe Marino – Avvocato tributarista cassazionista in Roma

 

 

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