La CGT di I grado di Milano, con la sent. n. 2587/2023 (qui scaricabile), ha decretato una vittoria importante per i contribuenti che beneficiano del c.d. “regime fiscale degli impatriati“, originariamente disciplinato dall’art. 16, d.Lgs. n. 147/2015 e, da ultimo, dall’art. 5, d.Lgs. 209/2023 (per i soggetti che si sono trasferiti in Italia a partire dal 1°.1.2024).

La normativa prevede una forte riduzione della base imponibile dell’IRPEF per i soggetti che si trasferiscono in Italia dopo aver trascorso un determinato periodo di tempo all’estero, come individuato dalle suddette norme. 

Peraltro, nonostante il silenzio della legge (e ci riferiamo sia alla normativa vigente di cui al d.Lgs. n. 209/2023, che alla previgente di cui al d.Lgs. n. 147/2015), l’Agenzia delle Entrate ha in più riprese sostenuto che “Dal tenore letterale della norma si evince, altresì, che, in presenza del collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa (per la quale è prevista una tassazione agevolata dei redditi prodotti in Italia), possono essere oggetto di agevolazione anche gli ulteriori redditi derivanti da attività lavorative intraprese in periodi di imposta successivi al rientro (ma comunque entro il quinquennio agevolabile, nel rispetto dei limiti temporali di applicazione dell’agevolazione)” (Circ. n. 33/2020, par. 1).

Tale requisito, come si diceva, non è tuttavia previsto dalla normativa in esame, e certamente la prassi dell’Agenzia delle Entrate non ha valore di legge (fatto pacifico in giurisprudenza) – né può costituire una forma di interpretazione autentica della legge, cosa riservata al solo Legislatore.

A causa di questa interpretazione della norma da parte dell’Erario, molti contribuenti sono stati oggetto di avvisi di accertamento nei quali veniva loro negato l’accesso al regime fiscale agevolato in ragione dell’assenza del cennato nesso di collegamento tra il trasferimento in Italia e l’inizio (in Italia) di un’attività lavorativa.

Un’importante vittoria per il contribuente è stata decretata dalla cennata sent. n. 2587/2023 della CTG di I grado di Milano, che ha perentoriamente escluso l’esistenza nella normativa in esame dell’ulteriore requisito sopra indicato, come individuato dall’Agenzia delle Entrate.

In particolare, la CGT ha affermato che “La norma non prescrive, invece, alcun periodo temporale minimo che debba intercorrere tra la data di trasferimento in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa; neppure richiede una disamina dei motivi soggettivi che avrebbero indotto il contribuente a trasferirsi in Italia. Il trattamento tributario deve essere ancorato a requisiti certi e prevedibili, senza rimandare a elementi sfuggenti che richiedano una valutazione caso per caso, immancabilmente condizionata dalla soggettività del singolo funzionario accertatore”.

Seguiranno certamente molte altre pronunce, data l’importanza della questione. Il consiglio è, quindi, di contestare in giudizio eventuali pretese erariali materia.

Giuseppe Marino, avvocato tributarista cassazionista in Roma

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