Con la sentenza n. 4269, depositata l’11.10.2018, la Commissione Tributaria Regionale di Milano ha ribadito alcuni fondamentali principi già sedimentati nella giurisprudenza della Cassazione con riguardo agli obblighi fiscali accertati nei confronti di una società estinta.

Nel caso esaminato dai giudici milanesi, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato degli avvisi di accertamento a un soggetto dalla stessa indicato come l’ex amministratore di fatto di una società estinta cancellata dal registro delle imprese prima della notifica degli stessi accertamenti.

In particolare, con gli atti fiscali – tempestivamente impugnati dal presunto ex amministratore di fatto – veniva richiesto il pagamento di maggiori imposte riferibili alla società estinta, per gli anni 2006 e 2007, a titolo di IRES, IRAP e IVA asseritamente dovute dalla società.

I giudici di primo grado rigettavano il ricorso del contribuente, ma l’esito del giudizio veniva ribaltato dalla decisione della Commissione Tributaria Regionale.

I giudici d’appello hanno infatti annullato la pretesa impositiva dell’Agenzia, statuendo che è inammissibile e illegittimo porre a carico dell’amministratore di fatto (per quanto equiparato a quello effettivo) un obbligo fiscale mai accertato nei confronti della società estinta”.

La motivazione della pronuncia della CTR di Milano ritorna quindi sulla nota questione del recupero dei debiti fiscali nei confronti delle società estinte – questione più volte esaminata dai giudici di legittimità a seguito delle modifiche normative riguardanti gli artt. 2495 c.c. e 36 d.P.R. 602/73 – ritenendo, sul punto, che sia assolutamente inammissibile di una sorta di “successione” nei rapporti con il Fisco degli amministratori – ancorché di fatto – e liquidatori di società estinte, poiché “le norme tributarie e civilistiche non prevedono alcun subentro automatico di questi nei rapporti con l’amministrazione finanziaria.(Cass. civile, sez. trib., 11/05/2012, n. 7327 F.it. 2012,11,3060 (nota I).”.

Ciò tanto più che, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva omesso di notificare qualsiasi atto impositivo nei confronti della società (debitore principale) prima dell’estinzione, per cui erano scaduti anche i termini per la proposizione dell’azione di accertamento contro la società stessa ormai da lungo tempo estinta e cancellata dal registro delle imprese.

Per l’impossibilità, dunque, di far valere il debito fiscale nei confronti del soggetto societario a cui lo stesso debito era esclusivamente riferibile, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di “colpire” la persona fisica assumendo che questa avrebbe agito come amministratore di fatto e liquidatore del patrimonio della società.

Tale ricostruzione volta ad accertare “ad ogni costo” il debito della società estinta – assumendo addirittura che questo sarebbe “automaticamente trasferito” dall’ente societario alla persona dell’amministratore e/o liquidatore, per effetto della cancellazione e, quindi, della (sopravvenuta) giuridica inesistenza del soggetto societario –, ha tuttavia subito un brusco arresto giurisprudenziale essendo palesemente illegittima ed infondata.

Ed infatti, puntualizzano i Giudici d’appello, che “come precisato dalla Suprema Corte, con riguardo sia alla posizione del liquidatore sia a quella dell’amministratore: ‘Con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati a carico della società, è riconosciuta all’amministrazione finanziaria dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 (applicabile alle sole imposte sui redditi D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 19) azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, nel caso in cui egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento. 

Si tratta di azione esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr. SU 2820/1985; C. 2768/1989, 9688/1995, 8685/2002).

Il carattere proprio di tale obbligazione, che deriva dall’inosservanza da parte del liquidatore di uno specifico obbligo di legge su lui gravante, comporta, inoltre, che una tale responsabilità possa essere invocata dall’amministrazione finanziaria solo una volta realizzatesi le suddette due condizioni, nell’ordinario termine decennale di prescrizione.

Essa, infatti, non è di per sé equiparabile all’obbligazione derivante dalla responsabilità verso i creditori (artt. 2394 e 2456 c.c., ora art. 2495 c.c.), né qualificabile come coobbligazione nei debiti tributari (cfr. SU 2079/1989).”.

In altri termini, la sentenza afferma con estrema chiarezza che i debiti tributari non si trasferiscono mai – automaticamente – dalla società all’amministratore o al liquidatore, non essendo tali soggetti “coobbligati” assieme alla società al pagamento di tali debiti.

Al contrario, ai sensi dell’art 36 del d.P.R 602 cit., l’Amministrazione può far valer nei confronti dell’ex amministratore e/o del liquidatore soltanto un’azione di responsabilità personale, a condizione però che sia dimostrato che l’ex amministratore e/o il liquidatore fossero a conoscenza dell’iscrizione di tributi a carico della società e che ciononostante abbiano distratto le attività patrimoniali sociali senza provvedere al pagamento delle imposte dovute (il che, dunque, presuppone l’esistenza di un debito fiscale in capo alla società sorto prima della sua estinzione).

Salvo tali ipotesi di responsabilità personale, per dirla con le stesse parole della CTR di Milano, non può sostenersi che, estinta la contribuente società di capitali, il processo tributario possa proseguire nei confronti dell’ex liquidatore” per il pagamento dei debiti tributari ed “ad analoghe conclusioni si giunge per la posizione dell’ex amministratore”.

In conclusione, è illegittima l’azione accertativa promossa dall’Agenzia delle Entrate nei  confronti dei liquidatori e degli amministratori, anche di fatto, allorché tale azione sia diretta al recupero dei debiti tributari propri di una società cancellata dal registro delle imprese.

Da tale circostanza deriva, infatti, l’impossibilità di effettuare qualsiasi tipo di ripresa, essendo ormai l’unico ed esclusivo debitore nei confronti dell’Erario, ossia il soggetto societario, definitivamente estinto e cancellato e, perciò, divenuto giuridicamente inesistente.

È essenziale, dunque, per gli amministratori e i liquidatori che ricevono “a nome proprio” simili avvisi di accertamento, riferibili invero ai debiti di società estinte, provvedere tempestivamente alla loro impugnazione con ricorso alla CTP entro 60 giorni dalla data di notifica.

Simili atti dell’Agenzia delle Entrate sono, infatti, palesemente illegittimi e meritevoli di annullamento, non essendovi nessuna ragione per cui gli ex amministratori e i liquidatori debbano farsi carico del pagamento dei tributi dovuti da una società.

Avv. Giuseppe Marino – Avvocato tributarista cassazionista in Roma

 

 

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