La presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base sociale è un istituto giurisprudenziale che, pur non essendo espressamente previsto dalla legge, si fonda sulla comune esperienza secondo cui in società con pochi soci – spesso legati da rapporti familiari o personali – il controllo reciproco rende probabile che gli utili “extracontabili” – oggetto di avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate – siano di fatto distribuiti tra i soci, anche se, per l’appunto non formalmente dichiarati.
In queste realtà societarie la “ristrettezza” dell’assetto implica che i soci, per via dei legami e del controllo reciproco, abbiano una conoscenza diretta degli affari societari. Di conseguenza, se l’Agenzia delle Entrate accerta utili “extracontabili” in capo alla società, si applica la presunzione – per il suddetto motivo, non considerabile di secondo grado – secondo cui tali utili sono stati distribuiti pro quota tra i soci, a meno che questi non diano la prova contraria (siamo quindi in presenza di una presunzione semplice relativa, in di fonte giurisprudenziale, che comporta comunque l’inversione dell’onere della prova).
Per quel che concerna la prova contraria che il socio deve offrire a propria difesa per superare la contestazione a suo carico di presunta distribuzione di utili, in origine la Cassazione aveva ritenuto che il contribuente non potesse limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e alla conduzione societaria, ma dovesse dimostrare, anche ricorrendo a prove di tipo presuntivo, che i maggiori ricavi societari non erano stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li aveva distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, oppure che altro soggetto si fosse appropriato di dette somme (Cass., sent. n. 1932/2016 e, più di recente, Cass., sent. n. 21158/2024). Detta prova, chiaramente, risultava molto difficoltosa.
Da ultimo, la Cassazione, con sent. n. 2464/2025, ha ampliato le possibilità di difesa del socio. Egli, per superare la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, potrebbe limitarsi a dimostrare, come prova contraria, la sua assoluta estraneità alla gestione e conduzione della società.
In quest’ultimo caso, il socio potrebbe muoversi in un contesto molto ampio: ad esempio, dare la prova di essere rimasto escluso da un’indagine in sede penale, a differenza, ad esempio, di altri soci (Cass., sent. n. 24870//2021); dare la prova della presenza di cause civili fra i soci (Cass. sent. n. 29794/2021) o l’aver svolto, ormai da diversi anni, l’attività di libero professionista in un settore differente da quello previsto dall’oggetto sociale (Cass., sent. n. 18042/2018, afferente alla professione di neuropsichiatra). A nostro avviso, un elemento utile ai fini della prova richiesta dalla Cassazione potrebbe essere costituito dai verbali assembleari nei quali risulti la mancata partecipazione del socio.
Sempre di recente, la Corte di Cassazione ha statuito che l’annullamento dell’avviso di accertamento societario con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudiziale, determina l’illegittimità dell’accertamento notificato al singolo socio, d cui si presume la percezione di maggiori utili societari (Cass., sent. n. 24688/2024).
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, cassazionista
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