La Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, con la sentenza del  26 agosto 2019, n. 379, ha enunciato un interessante e innovativo principio a tutela dei diritti del contribuente nei rapporti con il Fisco.

Secondo i Giudici tributari, è nulla la notifica della cartella che provenga da una casella PEC diversa da quella della attribuita nel registro IPA all’Ente della Riscossione (in specie, Agenzia delle Entrate – Riscossione), essendo la notifica collegata ad “un soggetto che non si conosce, e cioè da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”.

 In sostanza, per i Giudici perugini nessun debito fiscale può essere imputato al contribuente, se la notifica dell’atto non è stata effettuata dalla casella PEC ufficiale dell’ente notificatore. E ciò in quanto, in tema di notifica a mezzo PEC,  “l’art 26, DPR n.602/73, l’art 16-ter del D.l. 179/2012, convertito in legge n 221/2012 recita testualmente: a decorrere da/15/12/2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in maniera civile, e penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblichi elenchi quelli previsti dagli art 4 e 16 comma 12, del presente decreto [tra cui l’elenco IPA, oltre Reginde e INI-PEC]”.

Inoltre, proseguono i Giudici affermando che “Giova ricordare che la Corte Suprema di Cassazione, Sesta Sezione Civile, in una recente pronuncia (27/06/2019) n. 17346/19, rispetto a una sentenza impugnata in cui l’appellante aveva fatto la notificazione utilizzando un indirizzo non risultante dai predetti elenchi, ha cosi disposto: ‘La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi’.

Da ciò la Suprema Corte ha dichiarato che la modalità di perfezionamento della notificazione telematica postula ‘che la notificazione provenga da un indirizzo PEC ( … ) a un altro indirizzo PEC sempre risultante da pubblichi elenchi e che giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura la certezza della procedura di recapito”.

In definitiva, il principio di diritto affermati è chiaro: la notifica degli atti tributari è valida ed efficace: a) solo se proviene dalla casella Pec ufficiale dell’Ente notificatore, che è quella indicata nei pubblici elenchi IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni); b) solo se viene effettuata verso l’indirizzo Pec del destinatario ugualmente risultante dagli elenchi ufficiali “INI-PEC” (Indice Nazionale degli Indirizzi di posta elettronica certificata).

Tuttavia, la notifica che non risponda a tali requisiti non è giuridicamente “inesistente” secondo i Giudici – anche della Cassazione –  ma è viziata da nullità sanabile con la tempestiva costituzione in giudizio del destinatario dell’atto (contribuente – ricorrente) che lo impugni avanti al Giudice. Ciò significa che la nullità della notifica a mezzo Pec non produce ipso iure la nullità immediata (anche) dell’atto impositivo o della riscossione, oggetto di notifica.

 All’opposto, solo ed esclusivamente quando l’atto irritualmente notificato via Pec non venga impugnato dal contribuente-destinatario dello stesso, l’errore nel procedimento di notifica potrà tramutarsi in contestazione di vera e propria nullità della pretesa impositiva, essendosi cristallizzato – attraverso la mancata impugnazione dell’atto irritualmente notificato – il cennato vizio di nullità della notifica.

Pertanto, solo in quest’ultima ipotesi (di mancata impugnazione dell’atto irritualmente notificato), attraverso l’impugnazione con ricorso dell’atto fiscale successivo, sarà possibile sollevare l’illegittimità della pretesa dell’Erario, come conseguenza della nullità dell’atto presupposto, per illegittima notificazione dello stesso effettuata da (o verso) un indirizzo Pec difforme da quello risultante nei pubblici registri.

 In tal modo, cioè tramite la cd. eccezione di “nullità derivata” degli atti tributari, potrà essere contestata efficacemente sia la nullità della notifica eseguita irregolarmente da (o verso) un indirizzo Pec diverso da quello ufficiale; sia, soprattutto, la nullità radicale della pretesa impositiva dell’Amministrazione che ne deriva, come dimostra chiaramente la citata sentenza della Commissione Tributaria di Perugia, la quale ha dichiarato nullo un (successivo) atto di pignoramento per crediti erariali, in ragione della nullità della notifica Pec delle cartelle presupposte alla pretesa avanzata dall’Erario con l’atto di pignoramento stesso.

Più di recente, tale orientamento è stato confermato anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma con la sentenza n. 2799/2020, che si è espressa con i seguenti termini: “L’eccezione sollevata dalla ricorrente, contrariamente all’assunto dell’Ufficio è fondata perché, come risulta dalla copia della notifica prodotta dalla parte, essa notifica è stata spedita da un indirizzo Pec non riconducibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione presente nell’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni”), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un irrituale ed ignoto indirizzo ((…)).

La notifica della cartella esattoriale è insanabilmente nulla (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

In conclusione, dai documenti versati in atti è emerso il fatto storico inconfutabile che la cartella di pagamento è state trasmesse da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nel pubblico registro (IPA) per la notifica dei provvedimenti esattivi di natura tributaria; tale scenario risulta in contrasto con la richiamata normativa, pertanto la contestata notifica deve ritenersi priva di effetti giuridici e di conseguenza gli atti impugnati sono nulli”.

 

Avv. Giuseppe Marino – Avvocato tributarista  in Roma patrocinante in Cassazione                                                                         

 

 

 

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