La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza n. 288/45/13, depositata il 23.10.2013, ha annullato un avviso di liquidazione dell’imposta di registro pretesa dovuta sulla registrazione di una sentenza del Tribunale Civile di Roma, riconoscendo come la solidarietà nel pagamento del cennato tributo non gravi indiscriminatamente su tutte le parti in giudizio.
Ed invero, va premesso che l’art. 8, comma 1, lett. b), della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131/1986, prevede l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro alle sentenze “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; alla successiva lett. d) il decreto dispone, poi, l’applicazione della sola imposta di registro in misura fissa per le sentenze “non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale”.
Ciò rispecchia, d’altra parte, il noto principio generale dell’imposta di registro secondo cui la tassazione in misura proporzionale riguarda solo gli atti aventi un contenuto patrimoniale, mentre negli altri casi l’imposta si applica in misura fissa. E va altresì rilevato come un’ulteriore conferma di detto principio si trovi nell’art. 9 della Tariffa cit., che enuncia la clausola residuale della tassazione di ogni altro atto non espressamente previsto dalla legge, con aliquota proporzionale del 3 %, purché abbia “per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
Ciò posto, un’interpretazione letterale della legge, nonché evidenti ragioni di coerenza logica del sistema normativo, impongono che l’art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 – secondo cui “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, … “ – debba essere letto necessariamente in congiunzione con i citati art 8 e 9 della Tariffa, Parte I, giungendo alla conclusione per cui l’obbligazione solidale tra le “parti in causa” nel pagamento dell’imposta proporzionale di registro del 3% riguarda solo ed esclusivamente le parti in senso sostanziale di un rapporto patrimoniale, e quindi, come avvenuto nel caso deciso dalla C.T.P. di Roma, la sola parte del rapporto di condanna al risarcimento del danno; differentemente, le altre parti escluse dalla condanna – quale il ricorrente che ha adito la Commissione cit., il cui intervento nel giudizio è stato dichiarato inammissibile in quanto tardivo – sono invece tenute al pagamento della sola imposta in misura fissa.
Ed infatti, l’imposta di registro non è un tributo che si limita a colpire in misura proporzionale tutto l’atto-sentenza in quanto tale, gravando indistintamente su tutte le parti in causa, ma distingue – per evidenti ragioni di giustizia sostanziale – tra quelle parti che in base alla sentenza divengono titolari di rapporti patrimoniali (come ad esempio chi subisce una condanna) e quelle altre che non lo divengono (come nel caso del ricorrente che ha adito la C.T.P. di Roma, che era stato escluso nella sentenza del Tribunale Civile di Roma da qualsivoglia condanna): per le prime sarà applicabile la più onerosa imposta in misura proporzionale (art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, Parte I, cit.), mentre per le seconde la sola imposta fissa (art. 8, comma 1, lett. d) della Tariffa, Parte I, cit.).
Orbene, sul punto la citata sentenza della C.T.P. di Roma ha rilevato quanto segue, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente:
“Si è, peraltro, già ritenuto che, in tema di imposta di registro, l’obbligazione solidale posta a carico delle parti in causa, ai sensi dell’art. 57 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa a seguito della riunione di più cause tra loro connesse, non grava indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte ai giudizi riuniti, dovendosi distinguere tra coloro che sono parti del rapporto al quale la pronuncia oggetto dell’imposizione si riferisce e coloro che sono stati evocati in giudizio con distinti atti di citazione che avrebbero dovuto dar luogo a cause separate, poi riunite per motivi di opportunità. L’esercizio del potere discrezionale di riunione, giustificato dall’identità delle questioni da trattare, non incide infatti sulla posizione delle parti né comporta il venir meno dell’autonomia dei singoli giudizi e dei rispettivi titoli, con la conseguenza che la sentenza che li definisce, pur formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite. E poiché l’imposta non colpisce la sentenza in quanto tale, ma il rapporto in essa
racchiuso, quale indice di capacità contributiva, il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza, ed abbia formulato domande non aventi immediato fondamento in quel rapporto. L’interesse di cui tale soggetto è portatore potrebbe d’altronde risultare non proporzionato all’imposizione che verrebbe a ricadere su di lui, in contrasto con l’art. 53 Cost., il quale, pur non escludendo la previsione di un vincolo solidale a carico di soggetti non direttamente partecipi dell’atto assunto a presupposto dell’obbligazione tributaria, esige che la solidarietà si ricolleghi a rapporti giuridico-economici idonei alla configurazione di unitarie situazioni tali da giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa (sez. V, sentenze n. 11149 del 2006, e n. 9773 del 2008).
Ciò premesso, la ratio decidendi delle predette decisioni induce a ritenere fondato il ricorso, non potendo negarsi rilievo da un lato alla circostanza che il ricorrente aveva espletato un mero intervento adesivo, dall’altro che, essendo detto intervento stato dichiarato inammissibile per tardività, la conclusiva decisione mai avrebbe potuto sortire effetti anche riferibili alla sfera del ricorrente, che non era parte del rapporto al quale la pronuncia oggetto dell’imposizione si riferiva.
Se il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza, a maggior ragione esso non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che non abbia neppure partecipato al giudizio, essendo il suo intervento stato dichiarato per qualunque ragione inammissibile (nella specie per tardività: presupposto, questo, che l’Ufficio impositore non contesta).
La novità della questione costituisce certamente giusto motivo per la integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e per l’effetto annulla l’impugnato avviso di liquidazione; compensa integralmente le spese tra le parti”.
A dire il vero, si rileva come la sentenza di cui sopra abbia avuto alcuni precedenti giurisprudenziali. La tesi dei Giudici romani ha infatti trovato un primo precedente già nel 1994, quando la Commissione Tributaria Centrale, con decisione n. 1494 del 9.5.1994, affermava quanto segue: “La sentenza oggetto dell’imposizione tributaria in esame contiene due distinte statuizioni: l’una portante condanna al pagamento di somma di denaro, a carico di C.C., l’altra recante assoluzione da ogni addebito di C.G. Il regime impositivo previsto dall’art. 8, lett. c) della Tariffa allegata al D.P.R. n. 634/1972 (“atti portanti condanna al pagamento di somme, valori ed alle prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”) (oggi art. 8, comma 1, lett. b), Tariffa Parte I, d.P.R. n. 131/1986, n.d.r.) è applicabile soltanto alla statuizione riguardante C.C., mentre l’autonoma statuizione riguardante C.G. sarebbe stata, semmai, soggetta al regime impositivo previsto dall’art. 8, lett. e) (atti non portanti condanna né accertamento di diritto a contenuto patrimoniale-reg. a tassa fissa) (oggi art. 8, comma 1, lett. d), Tariffa Parte I, d.P.R. n. 131/1986, n.d.r.).”
Tale pronuncia ha poi trovato la più valida conferma nella sentenza della Cassazione n. 11149 del 15.5.2006, che ha disposto quanto segue:
“In ogni caso, la solidarietà deve ricollegarsi a rapporti giuridico-economici “idonei alla configurazione di unitarie situazioni che possano giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa”(Corte Cost. ord. n. 215/2000).
Nella fattispecie, qualora la causa in oggetto non fosse stata occasionalmente riunita alle altre similarmente intentate dal Sig. R.C., essa avrebbe percorso un iter autonomo e automatico che sarebbe sfociato nel rigetto delle domande attrici proposte nei confronti del Sig. A.M., determinando l’esclusivo pagamento dell’imposta fissa di registro per sentenze “non recanti condanna” di cui alla lettera d) dell’art. 8 tariffario.
Alla luce di quanto sopra, si rivelerebbe, pertanto, costituzionalmente illegittimo dichiarare solidalmente tenute verso l’Amministrazione dello Stato le parti nei giudizi contenziosi civili per le tasse di registro sulle sentenze riguardanti rapporti cui queste parti siano rimaste totalmente estranee.
Si deve concludere che le parti in causa di cui al citato art. 57, alla luce delle considerazioni sopra richiamate, non possono essere, né letteralmente né tanto meno razionalmente, intese nel senso di persone che figurino, in qualsiasi qualità, all’atto in cui è racchiuso il rapporto colpito dall’imposta, ma solo nel senso di persone fra le quali è interceduto il suddetto rapporto.
L’imposta, infatti, non colpisce l’atto, come tale, ma il rapporto racchiuso nell’atto, donde la necessaria conseguenza che le parti, fra le quali è sorto un determinato rapporto, non possono raffigurarsi come soggetti dell’imposta dovuta per un rapporto diverso e distinto. Per il solo fatto meramente formale della partecipazione al processo e della posizione ivi assunta, non si realizza quell’indice concreto rivelatore di ricchezza che è e deve essere alla base di ogni imposizione, tanto più che lo stesso interesse, di cui il soggetto, estraneo al rapporto enunciato in sentenza, può essere portatore, potrebbe risultare non proporzionato all’imposizione che, secondo la norma denunciata, dovrebbe ricadere su di lui.
Proprio in riferimento a tali indici, costituenti il presupposto dell’imposizione tributaria, i soggetti rivelano capacità contributiva e idoneità all’obbligazione d’imposta, deducibile esclusivamente dal collegamento fra i soggetti medesimi e le fattispecie cui la norma tributaria attribuisce tale efficacia, secondo valutazioni riservate al legislatore. Di conseguenza, alla stregua di tali criteri, non può ravvisarsi il presupposto dell’obbligazione solidale per il pagamento dell’imposta di registro nella mera situazione processuale in cui versi il soggetto rimasto estraneo al rapporto considerato in sentenza e che abbia formulato domande non aventi immediato fondamento sul citato rapporto. (cfr. Corte Cost. n. 120/1972)”.
Avv. Giuseppe Marino
Avvocato Tributarista in Roma, patrocinante in Cassazione
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