La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209/2022,  ha fissato l’importante principio secondo il quale l’abitazione principale – esente da IMU – è quella in cui il contribuente, soggetto passivo dell’imposta, risiede abitualmente ed ha la residenza anagrafica, risultando irrilevante il luogo di dimora e di residenza degli altri membri della famiglia. In tal modo, viene eliminata la disparità di trattamento tra le coppie coniugate e le coppie non coniugate (o “di fatto” o unite tramite “unione civile”), laddove solo alle prime era riferibile il concetto di “nucleo familiare” che doveva risiedere e dimorare abitualmente nello stesso immobile assieme al soggetto passivo.

Più nel dettaglio, la Corte Costituzionale ha dichiarato:

1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, nella parte in cui stabilisce che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”;

2) l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge n. 147 del 2013;

3) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”;

4) l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della legge n. 160 del 2019, in cui si affermava che “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile scelto dai componenti del nucleo familiare”

A parte l’illegittimità costituzionale di quanto disposto nel D.L.n. 201/2011, rimasto in vigore fino al 2019, e nella legge n. 160/2019 (disciplinante la “nuova IMU“), è venuto meno anche l’ultimo intervento normativo (di cui al D.L. n. 146/2021, con efficacia dal 1°.1.2022) che, per contrastare l’interpretazione molto restrittiva della Cassazione (anche se aderente alla normativa IMU  cfr. ord. n. 2194/2021), aveva previsto la possibilità di beneficiare dell’esenzione IMU anche in caso di “spacchettamento” della famiglia anche su due Comuni diversi, a patto che il contribuente indicasse un solo immobile al quale applicare l’esenzione.

La Corte Costituzionale ha quindi legittimato la “divisione” della famiglia sia all’interno dello stesso Comune, che  in Comuni diversi, sempre a condizione che si tratti di una “divisione” reale e non fittizia, con residenza e dimora effettiva in due immobili diversi. In altri termini, restano sempre validi i requisiti previsti per accedere all’esenzione dall’IMU, che però dovranno essere riconsiderati in relazione al possessore dell’immobile e non più al proprio “nucleo familiare”. Sul punto, la Corte Costituzionale ha infatti chiarito che “le dichiarazioni di illegittimità costituzionale (…) non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta.”

Non si tratta, dunque, di garantire l’esenzione IMU a tutte quelle “seconde case” in cui un membro della coppia metteva la residenza anagrafica, senza peraltro dimorarci abitualmente, al fine di garantire alla famiglia un doppio – ma indebito – risparmio.

Ad oggi, dunque, in una coppia sposata o non sposata, i due componenti potranno avere anche la residenza anagrafica in due immobili differenti siti sia nello stesso Comune che in Comuni differenti, purché ciascuno di essi  dimori abitualmente nell’immobile in cui ha la residenza anagrafica. La Corte ha infatti ammesso che in “un contesto come quello attuale”, “caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”.

La Corte, peraltro, ben consapevole del fenomeno delle residenze fittizie, ha riconosciuto sì il potere dei Comuni di contrastarle tramite tutti i poteri concessi loro dalla legge (verifica di utenze e consumi di acqua, energia elettrica, gas, servizi in rete, ecc.); di contro, i Comuni non potranno più accertare le presunte residenze fittizie in base alla mera verifica dello “divisione” della famiglia in più abitazioni, e della divisione del “nucleo familiare”, elemento ad oggi divenuto irrilevante. A tal  proposito, si fa presente che, a seguito delle nuove norme del riformato processo tributario (articolo 7, comma 5 bis, D.lgs. n. 546/1992), risulta che l’onere della prova si atteggia diversamente se il contenzioso ha ad oggetto un avviso di accertamento del Comune o un’istanza di rimborso del contribuente: nel primo caso, l’onere probatorio è certamente a carico del Comune, che ha l’obbligo di reperire dati e notizie utili per contestare l’esenzione richiesta dal contribuente; nel secondo caso, invece, l’onere probatorio è a carico del contribuente, che potrà essere chiamato a produrre, ad esempio, documenti afferenti i costi dei consumi relativi all’immobile.

Ciò è quanto varrà per il futuro. Invece, per quanto riguarda il passato, la situazione è molto più complicata. Ed infatti:

  • per gli avvisi di accertamento IMU divenuti definitivi per mancata impugnazione o per l’intervento di una sentenza definitiva di reiezione dell’impugnativa del contribuente, la situazione è pressoché ormai intangibile. Il contribuente potrebbe provare a presentare un’istanza di annullamento in autotutela al Comune – che trova il limite solo in una sentenza di merito passata in giudicato – , ma il Comune non è obbligato a procedere all’annullamento, avendo un potere discrezionale al riguardo. Inoltre, la presentazione di un’istanza di rimborso dell’IMU (a seguito della definitività di un accertamento o di una sentenza negativa che ha respinto l’impugnativa) potrebbe ben essere respinta dal Comune, e l’atto di reiezione non è atto impugnabile dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria – o, almeno, in caso di impugnazione con ricorso, questo verrebbe dichiarato inammissibile in quanto teso a “riaprire” i termini per la contestazione di un atto ormai divenuto definitivo (in tal senso, ex multis, Cass., sent. n. 4760/2009);
  • per i giudizi pendenti, il Comune dovrebbe provvedere all’annullamento dei propri atti contrastanti con il principio fissato dalla Consulta e chiedere l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e compensazione delle spese di lite, in ragione della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità sopra menzionata;
  • I contribuenti che hanno versato l’IMU, adeguandosi spontaneamente alla giurisprudenza di Cassazione loro sfavorevole, hanno tempo cinque anni (a decorrere dalla data del versamento) per presentare l’istanza di rimborso al Comune. In caso di mancato rimborso, il diniego, questa volta, è impugnabile dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria competente.

Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione

 

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