La Cassazione ha pubblicato un’interessante sentenza (la n. 24255/21 – qui scaricabile) sulla possibilità per il Fisco di accertare con metodo induttivo i professionisti, ed in particolare gli avvocati, considerando il mancato incasso degli onorari al termine del giudizio, a nulla rilevando che dalla contabilità non risulti alcun versamento.

Sul punto, la Cassazione ha in primis ricordato “…  secondo l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ., Sez. V, 11 agosto 2016, n. 16969) “In tema d’imposte sui redditi, il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando la prestazione e’ condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale”.

Ne consegue, pertanto, che il corrispettivo della prestazione del professionista legale si debba presumere conseguito quando la prestazione e’ condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale. Nel caso la prestazione professionale risulta proprio dalle sentenze acquisite.

La pronuncia censurata, pertanto, e’ viziata per violazione di legge per avere ritenuto che i compensi non risultavano effettuati.

Il fatto che l’Ufficio abbia utilizzato una presunzione per individuare il momento della effettiva percezione del reddito e’ legittimo, in quanto conforme al criterio generale posto dall’articolo 2727 c.c..

La Cassazione ha quindi così concluso: “In altri termini, in virtu’ della prova indiziaria suddetta era onere del contribuente dare la prova dell’insussistenza di tali ricavi, senza che cio’ comportasse l’onere di fornire una prova negativa, giacche’ puo’ parlarsi di prova negativa solo quando taluno per far valere un diritto fosse tenuto a dimostrare non solo i fatti costitutivi ma altresi’ la inesistenza di fatti estintivi. Non e’ certo questa la situazione del caso di specie. Qui l’Amministrazione ha fondato la pretesa fiscale su di una prova per presunzione ed il contribuente, per resistere, avrebbe dovuto contrastare tale prova e quindi, a questo fine, aveva l’onere di dimostrare di non aver percepito alcun reddito, per esempio producendo diffida ad adempiere o richieste di decreto ingiuntivo, o provare l’infruttuosita’ della esecuzione. In particolare era onere del contribuente dimostrare la esistenza di fattori che avevano impedito o che comunque erano stati idonei ad impedire l’incasso dei compensi. Ne’ vale obiettare che non risulta emessa la fattura, in quanto nel caso l’ufficio assume che il compenso vi sia stato e quindi appare ragionevole ritenere che tale fattura non sia stata emessa al fine proprio di sottrarsi al pagamento delle imposte.

Pertanto, la doglianza della Agenzia e’ fondata non avendo la Ctr precisato perche’ non dovesse considerarsi idonea presunzione il fatto del pagamento del compenso per attivita’ professionale portata a termine, ed avendo ritenuto necessari ulteriori riscontri probatori mediante accertamenti bancari”.

Ad avviso di chi scrive, al di là delle effettive situazioni di evasione fiscale, giustamente perseguibili, un problema in ottica difensiva si potrebbe porre in tutti quei casi in cui l’avvocato ha reso prestazioni gratuite (o con un onorario ridotto) in ragione di vincoli di amicizia, parentela o altro, verso i propri clienti, in quanto in questi casi è onere del professionista dimostrare compiutamente le ragioni della gratuità della prestazione o del particolare “sconto” applicato. A tal fine, conviene certamente precostituirsi dei documenti comprovanti le suddette ragioni, soprattutto nei casi di prestazioni legali svolte per ragioni di amicizia (la parentela è facile da provare).

Un altro problema potrebbe riguardare i non pochi casi in cui l’avvocato non procedere con azioni esecutive verso il cliente moroso in quanto già sa che esse sarebbero infruttuose (e certamente per lui onerose) in ragione dell’incapienza reddituale o patrimoniale del cliente (o dell’irreperibilità di quest’ultimo), così che il professionista si limita, in genere, a mere diffide ad adempiere, anche per non far cadere in prescrizione il credito. In questi casi, diviene ancor più difficile convincere il Fisco in sede di contraddittorio – e probabilmente anche il Giudice tributario – sulle ragioni del mancato incasso del saldo degli onorari (è infatti difficile credere che nemmeno un acconto al momento della sottoscrizione del mandato sia stato versato al professionista).

Certamente, in caso di verifica fiscale, la presunzione di incasso degli onorari non può essere avanzata dal Fisco sino a che il mandato professionale non si è esaurito e, quindi, nei casi di contenzioso, sino a che non viene emessa la sentenza conclusiva del giudizio. Per le cause pendenti, dunque, una simile difesa può certamente essere avanzata dal professionista.

Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista in Roma, cassazionista.

 

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