Come noto, vi è un interesse crescente e una diffusione sempre maggiore di operazioni in Bitcoin, Ethereum, Litecoin, Ripple e altre criptovalute e monete digitali.

Benché non siano ancora chiare le implicazioni fiscali legate all’apertura di un conto wallet in Bitcoin (o altre monete virtuali) il fenomeno delle criptovalute non sembra risentire della totale mancanza di regole destinate ai soggetti dell’ “industria finanziaria digitale” che disciplinino in maniera chiara ed uniforme l’attività di negoziazione di danaro digitale (si fa riferimento, in particolare, all’attività degli users, degli exchangers, nonché dei cd. miners di Bitcoin e di altre monete virtuali).

Tuttavia, con la Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2017, tenendo conto anche delle indicazioni rese dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza n. C-264/14, Hedqvist, l’Agenzia delle Entrate è stata fra le prime a fornire importanti chiarimenti sulla tassazione delle operazioni in criptovalute.

L’intervento interpretativo ha riguardato, però, solo alcuni limitati aspetti dell’attività degli exchangers, cioè di coloro che cambiano i Bitcoin e, in generale, il danaro digitale in valute aventi corso legale, nonché gli eventuali profitti realizzati dagli users,quali utilizzatori finali delle criptovalute, mentre non sono state offerte indicazioni riguardo al regime fiscale applicabile all’attività miners, ossia coloro che attraverso dei complessi algoritmi matematici svolgono l’attività di estrazione e rilascio in rete di Bitcoin e altre monete digitali, poi impiegate dagli users per finalità d’investimento o come mezzo di pagamento di beni e servizi.

In sintesi, dunque, l’attuale quadro normativo è caratterizzato dalla totale mancanza di regolamentazione del fenomeno delle negoziazioni di criptovalute, eccetto che per l’unico puntuale intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con la Risoluzione n. 72/E, nel fornire interessanti spunti sulla fiscalità dello scambio di criptovalute, ha segnato quello che si potrebbe definire oggi il “punto di partenza” per lo sviluppo di una disciplina della tassazione più completa ed organica dei proventi derivanti dalla “finanza digitale”.

Del resto, il regime fiscale delle operazioni in criptovalute è a uno stadio talmente “embrionale” che anche le soluzioni proposte dall’Erario non possono che essere accolte con il beneficio del dubbio, nell’attesa che fonti ufficiali, legislative e comunitarie, facciano chiarezza sul corretto trattamento tributario e, in generale, sulle sorti della negoziazione con monete digitali.

Ciò premesso, il Bitcoin è una delle centinaia di criptovalute esistenti che possiede la duplice funzione di strumento di scambio per acquistare e vendere beni e servizi (sempre che la controparte accetti il pagamento in valuta non avente corso legale) e di strumento d’investimento per la costituzione di riserve di valore, ossia di risparmi da custodire “in rete” (il cd. “oro digitale”).

Per “criptovalute” (anche dette “Altcoins” ovvero “aletrnative coins”), s’intende qualsiasi monta virtuale, fatta di bit e con tutti i vantaggi di ciò che si può scambiare online tramite computer, smartphone o altri dispositivi elettronici dotati di una connessione ad internet (senza la necessita di dover consegnare fisicamente il valore in danaro).

La sicurezza delle criptovalute, per quanto riguarda gli scambi e le transazioni, è garantita dalla crittografia ed, in particolare, da una chiave pubblica associata ad una chiave privata in possesso dell’utente/proprietario che impedisce la duplicazione del Bitcoin e delle altre monete virtuali.

L’Agenzia delle Entrate, con la citata Risoluzione n. 72/E, si è dunque cimentata nel tentativo di analizzare le transazioni e gli investimenti effettuati con danaro digitale, sforzandosi di tenere conto delle caratteristiche peculiari delle criptovalute come sopra sinteticamente delineate.

In maggior dettaglio, il fenomeno consistente nell’effettuazione di un crescente numero di operazioni in Bitcoin, definiti dalla stessa Agenzia come moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale, può essere riassunto come segue:

La circolazione dei bitcoin, quale mezzo di pagamento si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, ?riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge.

Si tratta, pertanto, di sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione.

Le criptovalute, inoltre, hanno due ulteriori fondamentali caratteristiche.

In primo luogo, non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (ad esempio smartphone), nei quali vengono conservate in “portafogli elettronici” (cd. wallet) e sono pertanto liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, senza bisogno dell’intervento di terzi.

In secondo luogo, i bitcoin vengono emessi e funzionano grazie a dei codici crittografici e a dei complessi calcoli algoritmici.

In sostanza, i bitcoin vengono generati grazie alla creazione di algoritmi matematici, tramite un processo di mining (letteralmente “estrazione”) e i soggetti che creano e sviluppano tali algoritmi sono detti miner.

Lo scambio dei predetti codici criptati tra gli utenti (user), operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di una applicazione software. Per utilizzare i bitcoin, gli utenti devono entrarne in possesso:

–  acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale; ?

–  accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.?

 Gli user utilizzano le monete virtuali, in alterativa alle valute tradizionali  principalmente come mezzo di pagamento per regolare gli scambi di beni e servizi ma anche per fini speculativi attraverso piattaforme on line che consentono lo scambio di bitcoin con altre valute tradizionali sulla base del relativo tasso cambio (ad esempio, è possibile scambiare bitcoin con euro al tasso BTC/EURO)”. 

Dal punto di vista fiscale, in ossequio a quanto affermato dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza UE n. C-264/14, Hedqvist, anche l’Amministrazione finanziaria italiana ha riconosciuto la rilevanza fiscale dell’attività di intermediazione di valute tradizionali con Bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale dalle società operatrici del mercato digitale, cioè gli exchanger.

Riguardo all’attività caratteristica degli exchangerconsistente – come si è detto – nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale e viceversa, a fronte di una commissione costituita dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti (in seguito anche il “margine dell’attività”), è stato chiarito, in particolare, che detta attività:

  1. i)           è classificabile alla stregua di una prestazione di servizi a titolo oneroso, rilevante ai fini IVA, poiché sebbene si tratti di operazioni relative a valute non tradizionali (e cioè virtuali) queste costituiscono pur sempre “operazioni finanziarie” rientranti nella previsione di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n.3) del d.P.R. n. 633/1972: pertanto, il margine dell’attività degli exchanger è esente ai fini IVA;

 

  1. ii)         può dare luogo a un guadagno (o a una perdita) di competenza dell’exchanger, costituito dal suddetto margine (positivo o negativo), che è perciò ascrivibile ai ricavi (o ai costi)caratteristici di esercizio dell’attività d’intermediazione finanziaria: il margine (positivo o negativo) concorre, pertanto, alla formazione dell’imponibile soggetto a tassazione ordinaria, ai fini IRES ed IRAP;

 

iii)        infine, sempre per la determinazione dei redditi e delle perdite fiscalmente rilevanti, l’Agenzia delle Entrate puntualizza che i Bitcoin che a fine esercizio restano di proprietà dell’exchanger devono essere valutati secondo il cambio in vigore al termine dell’esercizio: quindi, il “valore normale” dei Bitcoin è pari al valore della quotazione degli stessi alla data di chiusura dell’esercizio.

In base alla ricostruzione operata dall’Erario, inoltre, gli exchanger che esercitano professionalmente l’attività di negoziazione a pronti di valuta (tradizionale o digitale) rientrano nella categoria degli “intermediari finanziari” di cui all’articolo 11, comma 2, lettera c), del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (secondo le disposizioni del cd. “decreto antiriciclaggio” si tratta dei “soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell’elenco generale previste dall’art. 155, comma 4, del TUB”).

Gli exchanger, al pari degli intermediari finanziari, sono quindi tenuti al rispetto degli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione previsti per tale categoria di soggettidal medesimo “decreto antiriciclaggio”.

Riguardo al possesso di Bitcoin (o altre criptovalute) da parte degli users persone fisiche che li detengono al di fuori dell’attività d’impresa, le indicazioni dell’Agenzia sono invece meno incisive e più evanescenti.

L’Agenzia afferma che ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito:

  1. i)           le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa;
  2. ii)         pertanto, l’exchanger non è tenuto ad alcun adempimento, come sostituto d’imposta, per quanto riguarda le operazioni a pronti di valute digitali;

         3. iii)        in sede di controllo, tuttavia, l’Amministrazione ha facoltà di acquisire le liste della clientela al fine di porre in essere le opportune verifiche fiscali.

Pur affermando che gli acquisti e le vendite a pronti di Bitcoin non sono imponibili in mancanza di un guadagno di tipo speculativo, indirettamente si deduce dall’affermazione dell’Agenzia che, viceversa, operazioni di tipo speculativo, aventi ad oggetto monete virtuali, risultano imponibili ai fini della tassazione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate.

Secondo la dottrina maggioritaria, la disciplina applicabile su detti capital gains derivanti dal cambio di Bitcoin e altre valute digitali in valute tradizionali e viceversa, dovrebbe essere quella di cui all’art. 67, comma 1, lettera c)-ter, del d.P.R. n. 917/1986 (secondo il quale costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rinvenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi  e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo).

Le plusvalenze e minusvalenze derivanti da investimenti in moneta virtuale dovrebbero essere tassate, quindi, in dichiarazione, nel quadro RT del Modello UNICO PF, denominato “plusvalenze di natura finanziaria”.

Di conseguenza, spetterà al contribuente stesso procedere all’autoliquidazione dell’imposta eventualmente dovuta.

L’obbligo di applicazione della ritenuta sulle plusvalenze da parte dell’exchanger solleva invece maggiori dubbi e perplessità:

–            sia perché non sembra che la figura atipica dell’exchanger possa essere assimilata a quella di un broker internazionale per quanto riguarda l’attività esercitata;

–            sia perché, a differenza dei tradizionali contratti d’intermediazione tra cliente e intermediario finanziario, il rapporto tra users ed exchanger non è regolato da un contratto regolato e conforme alle disposizioni del TUF;

–            sia, infine, perché gli exchanger spesso sono società incorporate all’estero e, pertanto, potrebbero non rivestire la qualità di sostituto d’imposta, trattandosi di soggetti non residenti nel territorio dello Stato.

Tuttavia, ove si dovesse ritenere possibile una totale equiparazione del rapporto finanziario tra cliente e broker con il (diverso) rapporto tra users e exchanger, questi ultimi dovrebbero riversare sul conto wallet degli users le plusvalenze realizzata al netto della ritenuta del 26% applicabile ai classici prodotti finanziari; inoltre, dovrebbero altresì provvedere ad effettuare e comunicare ai propri clienti residenti in Italia, la certificazione delle ritenuta prelevata a titolo d’imposta sull’operazione di cambio di Bitcoin e altre monete digitali.

Infine, gli users residenti nel territorio dello Stato – sempre e soltanto nel caso di classificazione del rapporto tra user ed exchanger alla stregua di un rapporto tipico d’intermediazione finanziaria – dovrebbero considerare il proprio conto wallet al pari di un conto bancario intrattenuto all’estero (presumibilmente nel paese di residenza dell’exchanger, in mancanza di altri criteri di collegamento territoriale applicabili ai beni immateriali) e quindi indicare nel quadro RW della propria dichiarazione dei redditi il valore di mercato delle “attività finanziarie virtuali” al termine del periodo d’imposta o del periodo di detenzione delle attività stesse, sia ai fini del monitoraggio fiscale che ai fini dell’applicazione dell’IVAFE sul valore dei “beni virtuali” (qualora assimilati ad attività finanziarie detenute all’estero).

Come anticipato in premessa, le considerazioni finora esposte rappresentano delle mere ipotesi avanzate dalla dottrina e che si riportano con le dovute e più ampie riserve in mancanza di una vera e propria “equivalenza” tra valute in corso legale e valute digitali, tenuto conto tra l’altro dell’estrema volatilità di queste ultime, nonché della mancanza di posizioni ufficiali.

Non è infatti escludibile a priori che una più precisa analisi e definizione del regime fiscale delle transazioni in Bitcoin possa derivare ex novo dal sistema delle transazioni peer to peer effettuate tramite la tecnologia Blockchain (quali sono quelle relative allo scambio di Bitcoin).

L’elaborazione di una disciplina fiscale specificatamente calibrata per le transazioni online realizzate tramite Blockchain, presenterebbe infatti l’indubbio vantaggio di prevedere delle soluzioni operative applicabili sia allo scambio di Bitcoin e altre criptovalute, sia a qualsiasi transazione a titolo oneroso effettuata attraverso la stessa tecnologia innovativa e, quindi, negli innumerevoli ambiti applicativi della Blockchain.

 

Avv. Giuseppe Marino                                                                        

Avvocato tributarista cassazionista in Roma

 

 

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