La Corte di Cassazione finalmente riconosce l’esenzione IRPEF ai dipendenti di Ambasciate e Consolati prevista dall’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24.4.1963 (oltre che dall’art. 37 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 18.4.1961): con la recente sentenza n. 1669/2023 (emessa in un giudizio patrocinato dallo scrivente avvocato tributarista romano Giuseppe Marino, qui prelevabile), ha accolto il ricorso di una funzionaria dell’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede, dopo due giudizi di merito negativi.
Nel ricorso si era eccepito, come primo motivo, la violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24.4.1963, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui dispone una generale esenzione da ogni imposta e tassa per il personale impiegato presso le Rappresentanze Diplomatiche; b) dell’art. 2 del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
La ricorrente riferiva come dato pacifico di essere cittadina australiana, residente in Italia, impiegata all’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede, e, quindi, censurava la sentenza impugnata che aveva fatto applicazione del principio generale (art. 2, TUIR), che collega la soggettività passiva d’imposta alla residenza o al domicilio in Italia, senza considerare che, nella specie, prevale la normativa pattizia (art. 49 della Convezione di Vienna), che prevede l’esenzione fiscale dall’IRPEF (e addizionali) per i compensi o gli stipendi percepiti dai funzionari delle missioni diplomatiche (Ambasciare, Consolati, FAO, ecc.).
Nel ricorso si era poi rilevato che l’art. 37, comma 3, della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 18 aprile 1961 (resa esecutiva in Italia con la legge 9 agosto 1967, n. 804), prevede un’esenzione dalle imposte sui redditi di lavoro dipendente dei membri del personale delle missioni diplomatiche degli Stati aderenti (nella specie: Australia e Santa Sede), purché essi non siano cittadini dello Stato accreditatario (nella specie: la Santa Sede) e non vi abbiano la residenza permanente (la ricorrente non era residente nello Stato della Città del Vaticano). La Convenzione disciplina, specificamente ed esclusivamente, i rapporti tributari tra i due Stati – accreditante e accreditatario – tra i quali intercorre la relazione diplomatica e prevede – per l’appunto – l’esenzione fiscale, in deroga al principio generale per il quale il soggetto non residente è obbligato a pagare le imposte allo Stato nel quale egli svolge l’attività produttiva del reddito.
Con il secondo motivo si era poi eccepita la violazione dell’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 601/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata che non aveva rilevato che la ricorrente, quale cittadina australiana, non era obbligata a presentare la dichiarazione dei redditi e fruiva dell’esenzione fiscale sugli emolumenti corrisposti dall’Ambasciata di Australia presso la Santa Sede, anche in applicazione della normativa speciale interna (per l’appunto, l’art. 4, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601), derogatoria del principio della tassazione mondiale (art. 2, TUIR).
La Cassazione ha quindi rilevato quanto segue: “posto che la ricorrente, membro del personale della missione australiana presso la Santa Sede, è cittadina australiana, ovvero di uno dei due Paesi tra i quali intercorre la relazione diplomatica, il suo reddito di lavoro dipendente è esente da imposta e non soggiace alla regola generale, desumibile dagli artt. 2, 3, t.u.i.r., che i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato sono tassati sul complesso dei loro redditi, ovunque prodotti (su questi temi, in fattispecie diversa da quella in esame, cfr. Cass. 14/03/2019, n. 7265, che richiama Cass. 25/06/2018, n. 16634).
4. La C.T.R., discostandosi dal quadro normativo di riferimento, ha erroneamente affermato che la ricorrente, in quanto residente in Italia, ha perso (cfr. pag. 3 della sentenza) «i privilegi e le immunità fiscali riconosciute dalla Convezione di Vienna» ai “rappresentanti diplomatici” ed è soggetto passivo Irpef.
5. Ne consegue che, in accoglimento del ricorso, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio”.
Si tratta di una sentenza molto importante, in quanto è la prima – di legittimità – a dirimere l’annosa questione della tassazione dei redditi percepiti dai funzionari dipendenti di missioni diplomatiche.
I principii fondamentali emersi dalla sentenza sono due:
A) che la suddetta esenzione fiscale dall’IRPEF, prevista dall’art. 49 della Convezione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 24.4.1963, ha natura oggettiva, e quindi è collegata solo al fatto dello svolgimento di lavoro dipendente presso una missione diplomatica, risultando irrilevante la residenza fiscale del lavoratore (per cui si deroga al principio generale previsto dall’art. 2 del TUIR) o la nazionalità.
Dispone il suddetto art. 49 quanto segue:
“1. I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali e comunali, eccettuati:
- le imposte indirette di natura tale che sono ordinariamente incorporate nei prezzi delle merci o dei servizi;
- le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza, riservate le disposizioni dell’articolo 32;
- i diritti di successione e di mutazione riscossi dallo Stato di residenza, riservate le disposizioni del paragrafo b dell’articolo 51;
- le imposte e le tasse sui redditi privati, compresi i guadagni in capitale, che abbiano la fonte nello Stato di residenza, e le imposte sul capitale riscosse sugli investimenti fatti in imprese commerciali o finanziarie situate nello Stato di residenza;
- le imposte e le tasse riscosse a rimunerazione di servizi particolari resi;
- i diritti di registro, di cancelleria, d’ipoteca e di bollo, riservate le disposizioni dell’articolo 32.
- I membri del personale di servizio sono esenti dalle imposte e dalle tasse sulle mercedi che ricevono per i loro servizi”.
A) che a tale forma di esenzione fiscale si affianca una seconda forma di esenzione prevista dall’art 37, par. 2 e 3, della Convezione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 18.1.1961, secondo la quale:
“2. I membri del personale amministrativo e tecnico della missione e i membri delle loro famiglie, che convivono con loro, godono, sempreché non siano cittadini dello Stato accreditatario o non abbiano in esso la residenza permanente, dei privilegi e delle immunità menzionati negli articoli 29 a 35, salvo che l’immunità giurisdizionale civile e amministrativa dello Stato accreditatario, menzionata nel paragrafo 1 dell’articolo 31, non si applichi agli atti compiuti fuori dell’esercizio delle loro funzioni. Essi godono altresì dei privilegi menzionati nel paragrafo 1 dell’articolo 36, per gli oggetti importati in occasione del loro primo stabilimento.
3. I membri del personale di servizio della missione, che non sono cittadini dello Stato accreditatario né vi hanno la residenza permanente, godono dell’immunità per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, dell’esenzione dalle imposte e tasse sui salari che ricevono per i loro servizi e dell’esenzione prevista nell’articolo 33”.
Dunque, se lo Stato accreditatario è la Santa Sede, il funzionario della missione sarà esente da IRPEF a condizione che non sia cittadino vaticano e che non sia residente dello Stato della Città del Vaticano (quindi, l’esenzione spetta se il funzionario è residente in Italia).
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, cassazionista
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