Con la recente ordinanza n. 25720/2022, la Corte di Cassazione ha ben chiarito la questione del termine di prescrizione delle sanzioni e degli interessi indicati nelle cartelle di pagamento, termine che è di cinque anni.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato “che è sufficiente osservare che, in caso di notifica di cartella di pagamento non fondata – come nella specie – su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni ed agli interessi è – come correttamente argomentato dalla difesa della contribuente – quello quinquennale, così come previsto, rispettivamente, per le sanzioni, dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 e, per gli interessi, dall’art. 2948, comma 1, n. 4, cod. civ. (Cass., Sez. 6-5, 8.3.2022, n. 7486, Rv. 664137-01)”.
Per quanto riguarda, invece, i crediti erariali, la sentenza n. 18222/2022 della Cassazione aveva già chiarito quanto segue: “I crediti erariali sono soggetti all’ordinaria prescrizione decennale ex art.2946 c.c. e non quinquennale ex dall’art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. dato che questa disposizione riguarda “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (sanzioni ed interessi), laddove “l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario ed il pagamento non è mai legato ai precedenti bensì risente di nuove ed autonome valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi”.
Nel caso, invece, in cui la cartella di pagamento riportante sanzioni ed interessi dovesse essersi resa definitiva a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza, il termine di prescrizione a disposizione dell’Erario per la riscossione degli importi è di dieci anni, ai sensi dell’art. 2953 c.c..
Tuttavia, per la cartella di pagamento divenuta non più oppugnabile per decorso del termine di 60 giorni dalla notifica, non è applicabile il cennato art. 2953 c.c.: l’intervenuta definitività della cartella per mancata impugnazione non è infatti equiparabile al passaggio in giudicato di una sentenza con la conseguente trasformazione del termine prescrizionale del credito in termine decennale (Cassazione, sent. n. 15704/2021): ed infatti, una volta divenuta la cartella inoppugnabile, il credito ivi indicato diventa sì irretrattabile, ma la riscossione deve comunque avvenire nei termini di prescrizione propri dei crediti indicati nella cartella stessa (ad esempio, cinque anni per i contributi previdenziali, per le sanzioni, gli interessi e i tributi periodici; dieci anni per i crediti erariali).
Potrebbe quindi verificarsi il caso in cui il contribuente riceva una cartella riportante imposte erariali (ad esempio, IRPEF o IVA), le relative sanzioni e i relativi interessi: in tal caso, ciascuna posta ha un proprio termine di prescrizione (cinque anni per le sanzioni e gli interessi e dieci anni per le imposte erariali). In base a tale criterio dovrebbe essere impostato un eventuale ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ad esempio, contestando solamente la non debenza di sanzioni ed interessi in ragione dell’intervenuta prescrizione degli stessi, mentre invece nessuna analoga eccezione viene mossa contro le imposte erariali, il cui termine di prescrizione decennale è ancora pendente al momento del ricorso).
Ci si chiede, da ultimo, se la presentazione di un’istanza di rateazione del debito sia o meno atto valido ad interrompere la prescrizione del termine: sul punto vi sono vari orientamenti. In un’ottica difensiva del contribuente, si può sostenere che detta istanza di rateazione non sia idonea ad interrompere il termine prescrizionale in quanto trattasi di atto non proveniente dal creditore, a differenza di quanto previsto dall’art. 2943 c.c. (in tal senso, cfr. CTR Piemonte, sent. n. 161/2021).
A questo punto, però, occorre chiedersi se l’istanza di rateazione possa costituire un riconoscimento del debito idoneo ad interrompere la prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c..
Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sent. n. 23822/2010, ha affermato che la ricognizione del debito è atto interruttivo della prescrizione solo se espressa con dichiarazione univoca ed incompatibile con la volontà di negare il diritto stesso (dunque, una ricognizione evidente e specifica dell’altrui diritto).
Peraltro, a ben vedere, la presentazione di un’istanza di rateazione di un debito tributario non significa per forza di cose riconoscere il diritto dell’Ente creditore, anche perché può essere presentata dal contribuente solo per evitare la riscossione forzata (e, quindi, pignoramenti, iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi, ecc.), magari in presenza di un contenzioso che, se vittorioso per il contribuente, permetterebbe a quest’ultimo di richiedere il rimborso delle somme pagate con la rateazione.
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione
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