Molto spesso accade che dopo aver acquistato un immobile ad uso abitativo o commerciale, l’Agenzia delle Entrate contesti il valore della compravendita dichiarato dalle parti.
In un gran numero di accertamenti fiscali, tra l’altro, il prezzo dell’immobile compravenduto viene rettificato e aumentato solo sulla base del confronto effettuato dall’Erario con altri immobili asseritamente similari compravenduti nella stessa zona.
In buona sostanza, facendo riferimento esclusivamente ai soli valori di mercato dichiarati da altri soggetti per la vendita di altri immobili situati nella stessa zona, con avviso di liquidazione l’Agenzia delle Entrate determina il maggior valore di mercato del cespite e, quindi, le maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali che ritiene dovute a carico del contribuente.
Il presupposto di tali accertamenti coincide, dunque, sostanzialmente con l’assunto che l’immobile oggetto di verifica è pienamente conforme, corrispondente e perciò comparabile a quelli ritenuti (dall’Agenzia delle Entrate) similari. Di conseguenza, anche il prezzo al metro quadro fissato dalle parti nell’atto di compravendita non potrà che essere adeguato ed allineato, sempre dall’Agenzia delle Entrate, al prezzo dichiarato per gli immobili similari, adeguamento che – ovviamente – avviene sempre e soltanto in aumento e quindi a scapito del contribuente.
Orbene, in siffatti accertamenti capita raramente che l’Agenzia delle Entrate puntualizzi quali siano in concreto gli immobili similari presi a paragone per la determinazione di maggior valore, e tanto meno viene specificato quali siano i criteri che l’Erario ha effettivamente preso in considerazione e utilizzato, ai fini del confronto, per poter poi postulare e concludere nel senso che il cespite accertato è analogo e paragonabile a tali immobili ritenuti similari, sebbene abbiano più elevati valori di mercato.
In realtà, ciò che accade il più delle volte è che la motivazione della rettifica si risolve in una generica e vaga affermazione di principio circa la similarità degli immobili. Similarità che, come si è detto, giustificherebbe per il Fisco ipso facto l’applicabilità al cespite accertato dei più alti valori al metro quadro dichiarati (da soggetti terzi) in relazione ad atti di compravendita asseritamente similari.
A fronte di tale prassi dell’Agenzia delle Entrate vi è poi un’ulteriore conseguenza negativa per il contribuente, il quale, sul piano difensivo, qualora volesse opporsi a simili avvisi di rettifica, verrebbe a trovarsi, di fatto, in una posizione di svantaggio, non essendo stato reso edotto in merito alle reali ragioni per cui – secondo Ufficio dell’Agenzia delle Entrate – l’immobile ceduto avrebbe lo stesso valore di quelli presi a confronto.
Ebbene, un freno a tale illegittima attività accertativa viene fornita oggi dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 17226 del 2 luglio 2018, la quale, richiamandosi a un suo precedente, ha sancito la nullità delle rettifiche dell’imposta di registro prive di una adeguata comparazione tra gli immobili.
Nello specifico, afferma la Corte che la motivazione della rettifica è insufficiente, con conseguente nullità dell’atto, laddove faccia riferimento solo in mondo generico agli “atti di comparazione riguardanti immobili nella stessa zona”, essendo necessaria l’allegazione della documentazione afferente agli immobili ritenuti similari, o quanto meno la riproduzione del loro contenuto essenziale.
Il principio giurisprudenziale è dunque il seguente: “In materia di imposta di registro, l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta, riguardante atti che hanno ad oggetto beni immobili, adottato a seguito di comparazione con beni simili, deve ritenersi adeguatamente motivato ove contenga la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto utilizzato per la comparazione, e cioè delle parti utili a far comprendere il parametri utilizzato per la rettifica, essendo anche in questo modo adempiuto l’obbligo di allegare all’avviso l’atto utilizzato per la comparazione (Sez. 6-5, n. 21066 del 11/09/2017).”.
In mancanza, “deve dunque reputarsi la carenza ab origine degli elementi in grado di precostituire l’eventuale difesa del contribuente”.
In definitiva, stando alla pronuncia della Cassazione, devono essere dichiarati nulli per difetto di motivazione e violazione del diritto di difesa del contribuente, gli avvisi di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro che presentino una motivazione soltanto generica e priva dell’indicazione dei parametri e criteri valutativi adottati dall’Ufficio nell’effettuare la comparazione con altri immobili asseritamente ritenuti similari a quello compravenduto dal contribuente accertato.
A titolo meramente esemplificativo, possono considerarsi pacificamente viziati da nullità tutti gli avvisi di rettifica recanti solo gli estremi catastali delle presunte compravendite similari e, più in generale, tutti gli avvisi che nella motivazione non esplicitano in alcun modo l’iter logico-argomentativo seguito dall’Ufficio al fine di attribuire all’immobile accertato un maggior valore ai fini dell’imposta di registro; così come nulli saranno anche gli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro che, nel prendere a raffronto immobili ritenuti similari a quello compravenduto, non provino in concreto tale fatto mediante allegazione di atti e documenti all’avviso (o non ne trascrivano il contenuto essenziale).
Avv. Giuseppe Marino Avv. Giorgia Alesse
Avvocato tributarista cassazionista in Roma
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