La vicenda in esame
Una società svolgente l’attività di vendita all’ingrosso di pesce fresco si vedeva notificare dall’Agenzia delle Entrate un avviso di accertamento con un recupero, tra imposte, sanzioni ed interessi, di circa tre milioni di euro.
La tesi erariale si fondava sulla pretesa irregolarità formale delle fatture passive relative all’acquisto della merce, in quanto sarebbe mancata l’indicazione dei dati relativi al trasporto della merce stessa. Di qui la conseguente inutilizzabilità delle fatture ai fini della deducibilità del costo dai ricavi e dell’indetraibilità della IVA.
Proponeva ricorso alla CTP di Roma la società, a mezzo dello scrivente avvocato tributarista Giuseppe Marino.
Ed invero, non pareva assolutamente accettabile il disconoscimento della deducibilità del costo e dell’indetraibilità dell’IVA di fatture passive solamente perché mancavano nei documenti i dati circa la movimentazione ed il trasporto della merce: si trattava, infatti, di dati non essenziali della fattura, la cui mancanza non poteva certamente essere sanzionata con la “irregolarità” della fattura stessa e con tutte le gravissime conseguenze che ne derivano – poco sopra descritte -, peraltro non sussistendo alcuna norma in tal senso.
Ed invero, l’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, nel dettare con chiarezza quale debba essere il contenuto della fattura, non fa alcun riferimento ai dati relativi al trasporto della merce al fine di determinare la regolarità o meno di una fattura. Nella specie, dispone tale norma quanto segue:
“2. La fattura contiene le seguenti indicazioni:
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a) data di emissione;
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b) numero progressivo che la identifichi in modo univoco;
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c) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cedente o prestatore, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
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d) numero di partita IVA del soggetto cedente o prestatore;
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e) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cessionario o committente, del rappresentante fi-scale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
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f) numero di partita IVA del soggetto cessionario o committente ovvero, in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro di stabilimento; nel caso in cui il cessionario o committente residente o domiciliato nel territorio dello Stato non agisce nell’esercizio d’impresa, arte o professione, codice fiscale;
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g) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione;
g-bis) data in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi ovvero data in cui è corrisposto in tutto o in parte il corrispettivo, sempreché tale data sia diversa dalla data di emissione della fattura;
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h) corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all’articolo 15, primo comma, n. 2;
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i) corrispettivi relativi agli altri beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono;
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l) aliquota, ammontare dell’imposta e dell’imponibile con arrotonda-mento al centesimo di euro;
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m) data della prima immatricolazione o iscrizione in pubblici registri e numero dei chilometri percorsi, delle ore navigate o delle ore volate, se trattasi di cessione intracomunitaria di mezzi di trasporto nuovi, di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
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n) annotazione che la stessa, è emessa, per conto del cedente o pre-statore, dal cessionario o committente ovvero da un terzo”.
Orbene, risulta chiaro come i dati relativi al trasporto della merce non siano informazioni essenziali da riportare nella fattura, la cui mancanza non può dunque mai determinare l’irregolarità della stessa e la gravissima conseguenza dell’indeducibilità del costo e dell’indetraibilità dell’IVA.
Nel merito, la società evidenziava, poi, come per la movimentazione della merce si avvalesse dei servizi forniti da un primario operatore di logistica per il carico/scarico merci e per il relativo trasporto verso molti i ristoranti, supermercati e pescherie ubicati su tutto il territorio nazionale (venivano, quindi, prodotte in giudizio le fatture passive afferenti a tale servizio, con tutte le indicazioni circa la merce trasportata).
La sentenza della CTP di Roma che ha accolto il ricorso
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza n. 7227/2022 (qui scaricabile), ha accolto il ricorso con le seguenti parole: “L’avviso di accertamento impugnato veniva emesso sulla base del Processo Verbale di Constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Tivoli in data 17/01/2018, con il quale venivano recuperati a tassazione costi non deducibili accertando un maggior reddito d’impresa pari ad € 3.465.262,00 e una maggiore IVA pari ad € 346.526,00 oltre alle sanzioni.
L’Ufficio contestava la deducibilità delle fatture relative all’acquisto di pesce, per la mancanza di indicazioni circa il vettore che avrebbe movimentato la merce, riferendosi ad una c.d. “prassi consolidata”.
La Commissione, a tale proposito, osserva che non sussiste alcuna norma contenente tale previsione e che l’art. 21, comma 2, DPR 633/72 non fa alcun riferimento ai dati relativi al trasporto della merce quale elemento invalidante una fattura immediata, che, nella fattispecie, contiene la data di emissione, il numero progressivo, la ditta, il numero di partita IVA del soggetto cedente e cessionario, la natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione, la data nella quale è stata effettuata la cessione dei beni, i corrispettivi, l’aliquota, la data della prima immatricolazione o iscrizione ai pubblici registri e il numero dei chilometri percorsi e l’annotazione che la stessa è emessa per conto del cedente, dal cessionario o da un terzo.
Inoltre, le fatture de quibus, non sono state considerate afferenti ad operazioni inesistenti, a riprova della buona fede commerciale della contribuente.
Risulta dagli atti di causa che la contribuente si è avvalsa per il carico-scarico merce e per il relativo trasporto, della Srl xxx, dalle quali fatture si evince il nome del venditore del pesce fresco, e il cliente finale che riceve la merce, nonché il luogo di consegna.
Pertanto, il ricorso merita accoglimento e l’avviso impugnato deve essere dichiarato privo di giuridici effetti.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore della contribuente nella misura di € 30.000,00 oltre agli accessori di legge”.
La sentenza dei Giudici romani appare ineccepibile nel fare giustizia. Negare il sacrosanto diritto alla deducibilità di costi effettivamente sostenuti ed inerenti all’attività d’impresa – in mancanza di contestazioni dell’Erario o della G.d.f. sotto il profilo della loro esistenza oggettiva e soggettiva, nonché della loro inerenza e determinatezza – , avrebbe reso tassabile l’intero fatturato della società, senza lo scomputo dei costi, in violazione non solo dell’art. 109 del TUIR, ma anche dell’art. 53 della costituzione, considerato che la manifestazione di ricchezza tassabile ai fini dell’IRES è il reddito netto e non il ricavo lordo. Analoghe considerazione valgono, poi, per il diritto alla detrazione dell’IVA sui costi.
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione
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