Le Commissioni Finanze e Lavoro del Senato hanno approvato lo scorso 30 novembre 2021 l’emendamento n. 6.0.16 del Senatore Pittella (PD) che, apportando una modifica all’art. 12 del DPR n. 602/73, ha aggiunto il comma 4 bis, andando ad introdurre la non impugnabilità, da parte del contribuente, dell’estratto di ruolo e della cartella di pagamento, anche qualora essa dovesse risultare invalidamente notificata (o prescritta), con alcune (certamente non sufficienti) eccezioni.
Tale emendamento prevede quanto segue: “L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dalla iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 o, infine, per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.”
In buona sostanza, il contribuente che, visionando il proprio “cassetto fiscale” sul portale web dell’Agenzia della Riscossione – o in altro modo – dovesse scoprire dell’esistenza di una cartella di pagamento a suo carico mai ricevuta – in quanto, probabilmente, invalidamente notificata, e quindi nulla – e/o prescritta, non può più impugnare il relativo estratto di ruolo in sede giurisdizionale (azione, invece, fino a prima pacificamente esercitabile), se non in tre casi residuali, ossia se in sede giudiziale il contribuente dimostri che da tale iscrizione a ruolo possa derivargli un qualche pregiudizio a) per la partecipazione ad una procedura di appalto; b) per la riscossione di somme dovute da soggetti pubblici; c) per la perdita di un beneficio nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Tale norma è stata fortemente voluta dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate in considerazione che circa il 40% dei ricorsi pendenti contro l’Agenzia della Riscossione riguarda impugnazioni di estratti di ruoli afferenti a cartelle di pagamento invalidamente notificate (o prescritte). In questo modo si andrebbe sì a ridurre notevolmente il contenzioso contro l’ADER, ma a assieme a tale effetto verrebbe compresso enormemente il diritto di difesa di tutti i cittadini, in palese violazione sia dell’art. 24 della Costituzione (che garantisce a tutti i cittadini il diritto di difesa), sia dell’art. 3 (principio di uguaglianza) che dell’art. 113, commi 1 e 2 (secondo i quali “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. La tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”).
Inoltre, si consideri che i tre casi eccezionali in cui è possibile impugnare l’estratto di ruolo sono davvero insufficienti rispetto alle molte altre ragioni per cui i contribuenti potrebbero avere un concreto interesse e far annullare cartelle di pagamento afferenti a debiti tributari o previdenziali non dovuti (o a sanzioni di altro tipo non dovute): si pensi, ad esempio, ai casi in cui il cittadino abbia necessità di costituire una società, o di accedere al credito, o di accettare un’eredità con il rischio di subire un pignoramento, o di acquistare un autoveicolo con il rischio di subire un fermo amministrativo, o di acquistare un’abitazione con il rischio di subire un’iscrizione di ipoteca, e via così.
Come è noto, prima di procedere al fermo dei beni mobili registrati (ex art. 86, d.P.R. n. 602/1973) e all’iscrizione ipotecaria (ex art. 77, d.P.R. n. 602/1973), l’Agenzia della Riscossione deve notificare al debitore o ai coobbligati una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo o sarà iscritta l’ipoteca, senza che sia necessaria alcuna ulteriore comunicazione.
Nei suddetti casi, in base alla nuova legge il cittadino contribuente potrà impugnare il cennato preavviso di iscrizione di ipoteca o di fermo amministrativo potendo solo in tal sede far valere l’invalidità della notifica della prodromica cartella di pagamento (o la sua inesistenza, o la prescrizione del credito), purtroppo con la triste consapevolezza che il Giudice adito (che sia Commissione Tributaria, Giudice del Lavoro o Giudice di Pace, a seconda della natura del credito contestato) non riuscirà mai – per ovvi motivi di sovraccarico di lavoro – a pronunciarsi su di una richiesta di sospensiva entro i 30 giorni; intanto, il cittadino dovrà certamente subire gli effetti del fermo amministrativo del veicolo o dell’iscrizione dell’ipoteca sull’abitazione, con chiaro ed evidente danno patrimoniale. Poi, in caso di vittoria in giudizio (e dovranno passare in media tra i 18 e i 24 mesi, stando alle attuali statistiche), l’ADER dovrebbe annullare il fermo amministrativo o l’iscrizione ipotecaria – oltre che la cartella impugnata, se invalidamente notificata o se prescritto il diritto di credito (ma il condizionale è d’obbligo, considerato che, in base all’esperienza, l’ADER spesso annulla tali atti dopo il passaggio in giudicato della sentenza – prassi assolutamente deprecabile ed illegittima).
La situazione potrebbe essere anche peggiore nel caso in cui l’Agente della Riscossione proceda con un pignoramento presso terzi (ad esempio, presso il datore di lavoro del contribuente, o presso l’istituto bancario ove sussiste il conto corrente): la difesa “forzatamente posticipata” , come delineata dalla nuova norma sopra citata, creerebbe al contribuente, con tutta probabilità, un danno grave, non sempre reparabile anche dopo la pubblicazione (di sicuro non tempestiva) di una sentenza a lui favorevole.
Ciò posto, nel provare certamente rammarico per un simile provvedimento normativo in un ordinamento giuridico liberale e garantista come il nostro, il difensore tributario potrebbe continuare comunque a difendere i contribuenti nelle ipotesi sopra citate anche mediante l’impugnazione dell’estratto di ruolo senza attendere i successivi provvedimenti di esecuzione, richiedendo però al Giudice adito di sollevare la questione di illegittimità costituzionale della nuova norma in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nella speranza che la Consulta si pronunci in tal senso quanto prima.
In simili impugnative, si potrebbe rimarcare l’orientamento garantista della Cassazione di cui alla sent. a SS.UU. n. 19704/2015, secondo la quale “la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non (validamente) notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo (che potrebbe essere a sua volta malamente notificato) è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata”.
Ed ancora, si legga la recente ordinanza della Cassazione del 24 maggio 2019, n. 14213, nella quale – riprendendo il principio sancito dalla sentenza n. 19704/2015 emessa dalle Sezioni Unite – si è ribadita la autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo, in considerazione del fatto che “il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione”; non essendo un impedimento l’articolo 19, comma 3, D. Lgs. 546/1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione“.
In conclusione, secondo la Cassazione non vi sarebbe alcuna preclusione, né carenza di interesse ad agire nell’ipotesi in cui il contribuente impugni una cartella (invalidamente notificata o prescritta) e con essa la relativa iscrizione a ruolo, così anticipando la tutela avverso futuri ed insidiosi atti della riscossione.
A questo punto, solo una norma legislativa – introdotta per ragioni di mero interesse erariale – poteva porre nel nulla un simile condivisibile principio, segno di civiltà giuridica e di garantismo nei confronti del cittadino.
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione
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