Finalmente una sentenza di appello (Commissione Tributaria Regionale di Roma, sent. n. 3539/2022, depositata il 2 agosto 2022, emessa in un giudizio patrocinato dallo scrivente avvocato tributarista di Roma Giuseppe Marino – qui scaricabile) acclara l’illegittimità di un accertamento IRPEF a carico di un funzionario dipendente di Ambasciata, ritenendo invece legittima l’esenzione fiscale prevista per tali soggetti (funzionari di missioni diplomatiche in genere, quali Ambasciate, Consolati, FAO, ecc.) dall’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari del 23.4.1963. Ed invero, tale norma prevede una generale esenzione da ogni imposta e tassa (personale o reale, nazionale, regionale e comunale) in favore di funzionari consolari, impiegati consolari e membri della loro famiglia, ancorché fiscalmente residenti in Italia, limitatamente ai redditi percepiti nello svolgimento del proprio incarico. La norma è di tipo generale e subordina l’esenzione fiscale della remunerazione di tali soggetti al solo fatto di possedere lo status di funzionario di missione diplomatica, prescindendo, quindi, dalla residenza, dalla nazionalità o da altri parametri (come invece ha erroneamente ritenuto sia l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che la CTP di Latina).

Non rientrano nell’esenzione solamente i redditi provenienti da investimenti e attività afferenti alla sfera “privata” (ad esempio, redditi immobiliari, redditi derivanti da partecipazioni, investimenti finanziari e altre attività detenute al di fuori dello svolgimento dell’incarico, etc.), i quali restano quindi sottoposti alla potestà impositiva italiana (redditi che, peraltro, la contribuente, nel caso di specie, non aveva mai percepito).

In particolare, dispone il cennato art. 49, rubricato “Esenzione fiscale”, quanto segue:

“1. I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali e comunali, eccettuati:

  1. le imposte indirette di natura tale che sono ordinariamente incorporate nei prezzi delle merci o dei servizi;
  2. le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza, riservate le disposizioni dell’articolo 32;
  3. i diritti di successione e di mutazione riscossi dallo Stato di residenza, riservate le disposizioni del paragrafo b dell’articolo 51;
  4. le imposte e le tasse sui redditi privati, compresi i guadagni in capitale, che abbiano la fonte nello Stato di residenza, e le imposte sul capitale riscosse sugli investimenti fatti in imprese commerciali o finanziarie situate nello Stato di residenza;
  5. le imposte e le tasse riscosse a rimunerazione di servizi particolari resi;
  6. i diritti di registro, di cancelleria, d’ipoteca e di bollo, riservate le disposizioni dell’articolo 32.
  7. I membri del personale di servizio sono esenti dalle imposte e dalle tasse sulle mercedi che ricevono per i loro servizi”.

Orbene, se già l’esenzione prevista dall’art. 49 della Convenzione di Vienna sarebbe stata sufficiente a dirimere la controversia, nelle nostre difese abbiamo aggiunto che detta esenzione ha poi trovato conferma anche nella riforma tributaria degli anni ’70, ed in particolare nell’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 601/1973 che, dopo aver disposto al comma 1 che “I redditi degli ambasciatori e degli agenti diplomatici degli Stati esteri accreditati in Italia, derivanti dall’esercizio della loro funzione, sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’imposta locale sui redditi”, ha esteso la suddetta esenzione fiscale anche agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche, affermando che “L’esenzione stabilita nel comma precedente si applica, a condizione di reciprocità, anche ai consoli, agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati esteri, che non siano cittadini italiani né italiani non appartenenti alla Repubblica”.

Pertanto, essendo l’appellante una cittadina ceca priva di cittadinanza italiana impiegata presso l’Ambasciata della Repubblica Ceca sin dal 3.11.1997, ella godeva dell’esenzione reddituale sugli emolumenti corrisposti da detta Ambasciata non solo in virtù della predetta Convezione di Vienna del 1963, ma anche ai sensi della normativa interna italiana e, segnatamente, l’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 601/1973.

La CTR conferma quindi le ragioni dell’appellante anche su tale punto.

I Giudici di appello, inoltre, forniscono anche l’importante precisazione circa la prevalenza di tale esenzione fiscale generale rispetto alla normativa delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ed in particolar modo l’art. 19 del modello OCSE, relativo al trattamento fiscale delle remunerazioni di chi esercita una funzione pubblica.

Nel caso di specie, la CTR ha ritenuto errato l’assunto dell’Ufficio – nonché della CTP di Latina che ha respinto il ricorso – secondo il quale la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Repubblica Ceca (che prevederebbe, per l’appunto, all’art. 19, l’assoggettamento dello stipendio dell’appellante all’IRPEF italiana) prevarrebbe sull’art. 49 cit. della Convenzione di Vienna: ed infatti, la citata Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni, proprio perché di carattere generale, non è certamente prevalente rispetto alla normativa internazionale, di carattere speciale, di cui all’art. 49 della Convezione di Vienna del 24.4.1963.

Ciò che preme evidenziare è che mentre l’art. 19 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Repubblica Ceca disciplina in via generale ed astratta tutti i rapporti di chi svolge “Funzioni pubbliche”, l’art. 49 della Convenzione di Vienna, rubricato “Esenzione fiscale”, disciplina in modo speciale i soli rapporti tributari solo di chi lavora come funzionario dipendente di Ambasciate e Consolati.

Si deve quindi concludere che la normativa di cui all’art. 49 della Convenzione di Vienna ha carattere speciale e derogatorio rispetto alla normativa generale di cui all’art. 19 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Repubblica Ceca (e, in generale, di tutte le Convenzioni contro le doppie imposizioni). In tal senso si possono citare anche i precedenti della CTP di Milano, sentenza n. 1932/2020, e della CTP di Roma, sentenza n. 1957/2021 (emessa in un giudizio patrocinato dallo scrivente avvocato tributarista Giuseppe Marino e passata in giudicato, qui scaricabile) e sentenza n. 466/21.

Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione

 

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