Importante vittoria del contribuente in Cassazione, che si vede riconosciuto il diritto al rimborso dell'”euroritenuta“.
Il contribuente, risultando titolare di redditi di capitale prodotti in Svizzera (interessi su conto corrente), regolarizzava la propria posizione fiscale per gli anni dal 2009 al 2013 aderendo alla procedura di “voluntary disclosure” di cui al d.Lgs. n. 186/2014, versando un importo complessivo di € 53.231,48.
Il contribuente, peraltro, nel corso di tali anni aveva subito dallo Stato estero (Svizzera), per mezzo dell’intermediario finanziario svizzero Credit Suisse, la c.d. “euroritenuta” sui cennati capitali.
Pertanto, il contribuente presentava all’Agenzia delle Entrate istanza di rimborso di dette ritenute annuali, nella misura complessiva di € 32.270,16, con atto depositato il 30.3.2018.
Tale istanza si fondava sul disposto degli artt. 11 e 14 della Direttiva Comunitaria n. 2003/48/CE, recepita nel nostro ordinamento dall’art. 10, d.Lgs. n. 84/2005, in forza del quale se il reddito da capitale viene assoggettato a tassazione nello Stato di residenza del beneficiario effettivo, quest’ultimo può presentare istanza e ottenere il rimborso della ritenuta (comma 2), chiaramente al fine di evitare un’ingiusta doppia imposizione. In tal senso anche l’Accordo tra la UE e la Confederazione Svizzera del 26.10.2004.
Formatosi il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso, il contribuente proponeva reclamo-ricorso alla CTP di Verbania.
Il ricorrente, in particolare, dopo aver documentato tutte le cc.dd. “euroritenute” subite per il tramite della Banca Credit Suisse, nella citata misura complessiva di € 32.270,16, evidenziava l’illegittimità del rifiuto al rimborso in quanto, da un lato, veniva violata un’espressa norma contenuta in accordi internazionali (Accordo tra UE e Confederazione Svizzera) e, dall’altro, il contribuente subiva una ingiusta doppia tassazione sui redditi di capitale conseguiti all’estero, in violazione degli artt. 11 e 14 della Direttiva Comunitaria n. 2003/48/CE, recepita nel nostro ordinamento dall’art. 10, d.Lgs. n. 84/2005, il cui comma 2 prevedeva espressamente il diritto al rimborso.
Il contribuente, infine, contestava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 165 TUIR, in base al quale è escluso il credito per le imposte pagate all’estero nel caso di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nel Modello Unico, citando la circolare n. 9/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate. Al riguardo, osservava che la stessa circolare precisava che il meccanismo previsto dall’art. 165 TUIR riguardava solo i redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo (cioè alla base imponibile IRPEF soggetta ad imposte progressive), mentre non concerne i redditi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta, a imposta sostitutiva o ad imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, come per l’appunto i redditi di capitale esteri. Per tale motivo, dunque, l’art. 165 TUIR non risultava applicabile al caso di specie.
Peraltro, la CTP di Verbania respingeva il ricorso, così come veniva respinto il successivo appello alla CTR del Piemonte.
Il successivo ricorso in cassazione, proposto con l’assistenza del sottoscritto avvocato tributarista Giuseppe Marino, è invece stato accolto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 738/2023 (qui prelevabile).
La Cassazione ha ritenuto spettante il rimborso dell’euroritenuta in favore del contribuente, emettendo il seguente principio di diritto: “In applicazione della normativa comunitaria (art.14 della direttiva 2003/48/CE, come recepita nell’ordinamento italiano dall’art.10, d.lgs. del 18 aprile 2005, n.84, attuativo della citata direttiva, che costituisce disciplina normativa speciale prevalente su quella interna), deve riconoscersi il diritto al rimborso dell’euroritenuta pagata all’estero sugli interessi relativi a disponibilità finanziarie detenute su conto corrente presso una banca svizzera da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che abbia aderito alla procedura di “collaborazione volontaria”, la quale consente al contribuente, mediante una dichiarazione confessoria spontanea, di regolarizzare plurimi anni di imposta relativamente a tali interessi, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole”.
La sentenza merita un plauso per la chiarezza espositiva ed argomentativa, evitando al contribuente di subire un’ingiusta doppia tassazione sui redditi di capitale conseguiti all’estero.
La sentenza, data l’importanza della questione, è stata commentata anche sul quotidiano Ilsole24ore del 13 gennaio 2023, pag. 36 (vedi questo link).
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione
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