Con l’interessante sentenza n. 10352/2022 (qui scaricabile), la Corte di Cassazione ha precisato che il termine perentorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’atto impositivo debba essere rispettato dall’Agenzia delle Entrate anche se l’accesso per l’acquisizione della documentazione da controllare sia avvenuto soltanto presso lo studio del commercialista che deteneva delle scritture contabili.

In particolare, la Cassazione ha preliminarmente ricordato che  in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente), deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale (essendo quest’ultimo “primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva» (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013; Cass. n. 1264 del 22/01/2014; Cass. n. 2587 del 05/02/2014; Cass. n. 14287 del 24/06/2014; Cass. n. 21815 del 07/09/2018; Cass. n. 27623 del 30/10/2018”).

La Corte ha poi precisato che tale termine dilatorio “decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo» (Cass. n. 1497 del 23/01/2020; Cass. n. 15010 del 02/07/2014), e che detto termine «si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso “ante tempus” (Cass. n. 10388 del 12/04/2019).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, l’avviso di accertamento era stato emesso e notificato prima del decorso dei sessanta giorni dall’accesso presso il professionista tenutario delle scritture contabili (commercialista) del soggetto verificato: ebbene, la Corte Suprema, fornendo una condivisibile interpretazione garantista della norma, ha ritenuto che tale accesso fosse equiparabile in pieno, ai fini dell’applicazione della garanzia procedimentale prevista dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, all’accesso avvenuto presso la sede dell’impresa.

All’uopo la Corte di Cassazione ha richiamato un recente orientamento (da ultimo, Cass. n. 34586 del 16/11/2021; ma si vedano, altresì, Cass. n. 5254 del 26/02/2020; Cass. n. 702 del 15/01/2019; Cass. n. 14707 del 06/06/2018) che si basa sull’interpretazione dell’art. 52, comma 1, del d.P.R. n.633 del 1972, in tema di IVA, il quale non richiede particolari formalità per l’esecuzione di accessi presso il consulente detentore delle scritture contabili, mentre il comma 5 del medesimo articolo sanziona con la con utilizzabilità in favore del contribuente la mancata indicazione del detentore delle scritture contabili e la mancata esibizione delle stesse, con la espressa precisazione che il rifiuto di esibizione si intende anche la dichiarazione di non possedere le scritture.

In conclusione, secondo la Cassazione,  “La ratio legis è chiaramente nel senso di consentire l’accesso alle scritture anche al di fuori della sede aziendale presso i locali del consulente senza particolari formalità in quanto questi è un mandatario del contribuente, e pone a carico del contribuente un onere di collaborare con l’Ente verificatore in quest’ultima ipotesi” , considerando anche che la sede effettiva dell’impresa è normalmente individuata con il luogo dove viene svolta l’attività amministrativa (cfr. Cass. n. 23719 del 06/11/2014; Cass. n. 6886 del 07/05/2012) “ed è, sicuramente, attività amministrativa quella di tenuta delle scritture contabili”.

Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, patrocinante in Cassazione

 

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