La Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio annulla un avviso di accertamento per euro 3.465.262, confermando la vittoria in primo grado del contribuente (scarica qui il testo della sentenza).
La controversia (patrocinata in entrambi i gradi di giudizio dall’avvocato tributarista di Roma Giuseppe Marino), trae origine da un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2016, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione costi non deducibili per l’importo complessivo di euro 3.465.262. L’Erario contestava la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR.
In particolare, l’Ufficio disconosceva totalmente i costi sostenuti per l’acquisto delle merci poi rivendute (si trattava di prodotti ittici) in quanto la società contribuente non avrebbe documentato le modalità di trasporto delle merci. Pertanto, l’Ufficio affermava che i cennati costi erano da ” da ritenersi irregolarmente documentati, difettando, per l’effetto, del requisito di certezza di cui all’art. 109 del TUIR”. Così che la società veniva tassata sui ricavi lordi, senza alcun riconoscimento dei costi.
La CGT ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avallando in pieno le difese proposte dalla società, e statuendo quanto segue:
– non esiste alcuna norma che imponga, per le fatture, l’indicazione del vettore che movimenti la merce, né tale norma può essere individuata nell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, la quale non fa alcun riferimento ai dati relativi al trasporto della merce, né tanto meno attribuisce a tali dati valore invalidante delle fatture;
– le fatture considerate dall’avviso di accertamento, e alle quali afferiscono i costi dichiarati indeducibili dall’Ufficio, non sono state considerate inerenti ad operazioni inesistenti, a riprova della buona fede commerciale della società;
– è documentato agli atti di giudizio che la società contribuente si è avvalsa per il carico-scarico merce e per il relativo trasporto di altra società, dalle cui fatture si evince il nome del venditore del pesce fresco e il cliente finale che riceve la merce, nonché il luogo di consegna.
I Giudici, pertanto, hanno concluso ritenendo come la società contribuente avesse dedotto e documentato che per lo svolgimento della propria attività di commerciante all’ingrosso di pesce, del quale riforniva ristoranti, pescherie e supermercati in tutto in territorio nazionale, si era avvalsa, nell’anno di riferimento, dei servizi di una piattaforma logistica per il carico e scarico delle merci e per il relativo trasporto, con sede nella provincia di Milano, primario operatore nazionale per la movimentazione e lo stoccaggio di merce deperibile come il pesce fresco.
Tale rilevante circostanza era documentata dalle numerose fatture emesse nel 2016 dalla predetta società in favore della parte appellata, dalle quali emerge univocamente: 1) il venditore del pesce fresco (la società contribuente); 2) cliente finale che riceveva le merci; 3) il luogo di consegna delle merci; 4) il numero di colli, il peso, il prezzo unitario, l’importo totale ecc.
Di conseguenza, nessuna irregolarità formale poteva essere nella specie contestata società contribuente per quanto concerne le fatture emesse, tenuto conto della univoca previsione dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, pienamente rispettata nel caso di specie; inoltre, l’Ufficio non aveva tenuto conto della fondamentale circostanza, puntualmente provata in giudizio dalla contribuente e non efficacemente contrastata dall’Ufficio stesso, per cui il trasporto della merce era stato svolto dalla cennata piattaforma logistica specializzata nello stoccaggio di merci deperibili, il tutto pienamente documentato.
La società aveva comunque dimostrato, nelle proprie difese, come il cennato art. 21 non richiedesse affatto, per la regolarità della fattura, anche l’indicazione delle modalità di trasporto della merce (in ogni caso documentate nel caso di specie).
Venivano così confermate le conclusioni cui era pervenuta la CTP, giacché nessuna indicazione aggiuntiva avrebbe dovuto essere inserita nelle fatture relative al pesce acquistato (in tal senso è univoca la lettera dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), né risultava condivisibile che il trasporto del pesce acquistato e rivenduto a terzi non fosse attestato da alcun documento.
Avv. Giuseppe Marino – avvocato tributarista, cassazionista
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